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Tag: fenomeno

Disfiamoci dell’albero e non di noi stessi

di Elisabetta Boeddu – psicologa e counselor

Il Christmas Blues è un fenomeno associato al periodo natalizio che in molte persone scatena angoscia, ansia, tono dell’umore basso, crisi di pianto e pensieri negativi.

Ecco perché ad alcuni, nonostante addobbi, decorazioni, lucine, riunioni familiari e scambi di regali, capita di sentirsi pensierosi, appesantiti o, addirittura, profondamente tristi.

Il Natale attiva quelli che la psicologia definisce potenziali stressors:

  • pranzi e cene di famiglia con parenti spesso poco graditi o che non si frequentano da tempo;
  • acquisti dell’ultimo minuto;
  • festeggiamenti e convenevoli sociali spesso vissuti come un obbligo;
  • scadenze lavorative;
  • bilanci personali in prossimità del Capodanno;
  • puntuali e imbarazzanti domande di amici e parenti.

Dal punto di vista della psicologia sociale, il Natale si basa sul meccanismo del dono, che non solo ci permette di stabilire e mantenere i legami sociali, ma che spesso crea una condizione di dipendenza psicologica, legata alla regola del dover ricambiare. Il nostro comportamento, infatti, anche nel periodo natalizio, così come in altre situazioni della vita quotidiana, è fortemente condizionato ed indirizzato dalle norme socialmente costruite e condivise. Sotto Natale è doveroso acquistare dei doni (con costo commisurato al bene che ti voglio), ricambiare quelli ricevuti, ringraziare per i doni indesiderati, condividere con gioia il momento ed essere tutti più buoni.

Meccanismi inconsapevoli ci guidano e ci portano a comportarci in modo idealistico o il più vicino possibile a ciò che è desiderabile socialmente.

Spesso di fronte all’obbligo di essere più buoni, di prendere parte alla frenesia natalizia, di acquistare necessariamente i regali e di organizzare un Capodanno insolito e divertente, si risponde però con vissuti di costrizione e limitazione della propria libertà personale, fino ad arrivare, in maniera più o meno consapevole, a reazioni di anticonformismo e resistenza vera e propria: nessun acquisto, nessun messaggio di auguri, capodanno vissuto come fosse un giorno qualunque.

I bilanci di fine anno

Durante tali ricorrenze inoltre le persone tendono a fare un bilancio della propria vita, spesso a partire dalle domande tipiche del periodo: “quando ti sposi?”, “quando ti laurei’?”, “cosa farai a Capodanno?”. Il periodo quindi ci costringe a mettere a confronto il Sé reale con il Sé ideale, prendendo maggiormente consapevolezza della discrepanza esistente tra quello che vorremmo essere e ciò che siamo nella realtà.

Insomma, a volte siamo tutti più buoni, è vero.

Altre volte, invece, soffriamo lo stress e non solo per la fatica di perdere i kg di troppo, accumulati sotto l’albero.

Violenza sulle donne: questioni di genere

di Elisabetta Boeddu

Il 25 novembre si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

La stampa, nella maggior parte dei casi, ci parla di violenza sulle donne unicamente come espressione di una patologia nell’aggressore o di una incapacità dello stesso a controllare la propria rabbia. Per offrire una spiegazione più ampia del fenomeno però ritengo certamente più utile sostituire le parole “violenza sulle donne” con  violenza di genere. La violenza, infatti, non è solo una questione di “donne”, bensì di “uomini e donne”. In particolare, la violenza di genere è espressione di una patologia relazionale tra persone, fortemente legata alla modalità con cui le relazioni tra uomini e donne si costruiscono e si strutturano e ai modelli di “uomo” e “donna” che la società ci propone.

I termini che utilizziamo per definire il fenomeno infatti veicolano significati ben precisi, contribuendo a creare un sistema di ruoli e di aspettative sociali in base al quale a uomini e donne vengono attribuite caratteristiche ed inclinazioni diverse, presentando tale differenza come la diretta conseguenza della diversità maschile e femminile sul piano biologico e fisico. Credenze e stereotipi come questi sono subdoli e difficili da eradicare. Nessuno di noi, infatti, è immune da tali meccanismi che sono funzionali alla nostra mente e in grado di aiutarci a semplificare e comprendere in modo più rapido la realtà. Tali differenze, infatti, non sono biologicamente determinate bensì apprese in famiglia, a scuola, nei contesti sociali di appartenenza.

La violenza è il risultato del conservarsi di una condizione storicamente ineguale, che ha portato a una disuguaglianza profonda nei rapporti tra uomini e donne, al permanere di una struttura patriarcale basata su un condiviso squilibrio di potere tra uomo e donna, alla diffusione di una idea di inferiorità del sesso/genere femminile rispetto al genere maschile e ad una costante oggettivazione della donna.

La supposta inferiorità della donna rispetto all’uomo e l’utilizzo del corpo della donna come semplice “oggetto”, ad esempio, sono presenti in maniera pervasiva nella comunicazione utilizzata dai mass media, che utilizza il corpo della donna o parti di esso per affermare che la donna vive in funzione del volere maschile o per rendere più appetibile una campagna pubblicitaria (nella maggior parte dei casi indirizzata agli uomini), dando alla donna lo stesso valore del prodotto da vendere: un pneumatico per auto, un profumo, un’utilitaria ultimo modello.

Il radicamento di stereotipi di questo tipo nella vita sociale, economica, culturale, e politica del nostro paese rappresentano un ostacolo non solo al raggiungimento della parità tra i generi, ma anche una delle cause principali alla base dei fenomeni di violenza sulle donne. Intervenire per abbattere tali stereotipi e promuovere azioni che siano di valorizzazione delle differenze di ciascuno e dell’uguaglianza reale tra uomini e donne rappresentano un’azione di prevenzione primaria della violenza di genere a cui siamo quotidianamente chiamati, non solo il 25 novembre.

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